Sara Porro
4 min readAug 18, 2021

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Nel tragicamente inflazionato “Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry ci sono molte citazioni che amo. Tra queste: “Tutti i grandi sono stati bambini una volta. Ma pochi di essi se ne ricordano”.

Oggi Emilia compie tre anni — il momento in cui si dice che i bambini comincino a formare ricordi duraturi — e in questi giorni ripenso spesso a questa frase, per una ragione specifica: per me è vero esattamente il contrario. Ho ricordi molto vividi della mia infanzia, anche della più remota— e tendono a essere la bussola della mia condotta come genitore: quando reagisco a un comportamento di Emilia, o la vedo fare esperienza di un’emozione, il ricordo di circostanze in cui io stessa ho vissuto qualcosa di analogo si sovrappone al momento presente. Per un certo tempo ho pensato che fosse una buona cosa — che mi fornisse strumenti per capire mia figlia, e per provare empatia nei suoi confronti; ma di recente (anche grazie a un ottimo libro che ho letto, si chiama “Diventare grandi insieme”, di Uppa) ho cambiato un po’ idea. Il rischio è scambiare il bambino che c’è adesso di fronte a noi, nella sua unica personalità, con il bambino che siamo stati; e appiccicando i nostri figli sulla sagoma della nostra infanzia — scambiandoli per noi alla loro età — finiamo per confonderci, e non vederli più come sono loro.

In questi giorni stiamo facendo vacanze molto serene e molto riposanti, per davvero (Il segreto? Siamo in vacanza in un resort per bambini, dove tutto è comodo, a partire dai pavimenti in linoleum da cui la pasta carbonara, i semi di anguria e la sabbia si puliscono con una passata di straccio: la vita segreta dei bambini non è infatti molto poetica, ma non ditelo ad Antoine). L’ozio e l’assiduità quotidiana mi offrono molte occasioni per stare a guardare mia figlia, la sua crescita impetuosa e continua: anche per questo cerco di ritagliarmi un momento per compilare questi bollettini, perché la memoria è inaffidabile, anche quando sembra impossibile scordare. Un anno fa eravamo in Toscana, ed Emilia era una presenza molto diversa da oggi: i nostri bambini imparano sempre mille cose al minuto, ma per molte fasi della loro crescita la sensazione è che nell’acquisire qualcosa altro vada perso — soprattutto in termini di pace famigliare. Imparano a gattonare, e non smettono; imparano a parlare, e non smettono; imparano a polemizzare, e insomma avete capito. I tre anni mi stanno mostrando, mi pare, un’evoluzione differente, in cui le sue competenze nuove la rendono sempre più una vera compagnia per noi. Comincia a sopportare una punta di frustrazione di fronte alle gratificazioni rimandate — se le dico che mi dispiace, ma ora non si può fare quello che ha chiesto, a volte la prende con un’improvvisa filosofia che mi commuove, risponde “Lo facciamo dopo” Oppure “Ci andiamo tra poco”. È molto alta e molto agile, e mostra un coraggio insolito di fronte ai cimenti fisici — si arrampica ovunque, sale e scende, si tuffa sgangheratamente in acqua e poi riemerge dicendo “Non mi piace andare sotto con la testa” con l’occhio pazzo del subacqueo in ipossia. Dall’altro, ha una certa ritrosia sociale — direi “timidezza” se non fosse che certe etichette si appiccicano addosso alle persone: quindi se rifiuta di dire “ciao” a qualcuno non dico “Emilia è timida” ma “Emilia sta ancora imparando a salutare” (l’ho imparato da Elisa).

Stamattina prima che Emilia si svegliasse abbiamo riempito il divano di palloncini sotto cui abbiamo nascosto dei regalini, quando si è alzata le abbiamo cantato “Tanti auguri”, e sembrava imbarazzata e perplessa. Più tardi l’abbiamo portata a fare un’escursione in barca all’isola Graciosa, a nord di Lanzarote — una cosa affollata e chiassosa, annunci in tre lingue, musica da discoteca e per pranzo pasta al sugo tutta incollata — ma quando ho chiesto alla guida (in quel momento nel ruolo di deejay) se potesse fare gli auguri al microfono a Emilia e tutta la barca ha cantato “Cumpleaños Feliz” avevo lacrime di gioia che mi pungevano gli occhi.

Tornando in auto, intorno a noi il paesaggio marziano di Lanzarote, alla radio di classici anni ‘90–2000 è passato “Torn” di Natalie Imbruglia, che io e Paolo abbiamo cantato in coro. Quando Natalie ha cantato “I’m all out of faith / this is how I feel”* — insomma ho perso la speranza, la fiducia — mi sono chiesta come si dica l’esatto contrario di questo, come si chiama questo stato di grazia in cui sono ricolma di fiducia, di aspettative, per il futuro che ci attende, per questo tempo dove godermi lo spettacolo di arte varia della mia bambina che cresce, che ogni giorno acquisisce nuovi strumenti per fare esperienza del mondo e per arricchire il legame che abbiamo.

Traboccante di speranza, ecco come mi sento.

*(adesso la dovete cantare tutta nella vostra testa)

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